ETICHETTE - Quando l'abito fa il monaco
Apri la porta della tipografia, e ti sembra di tornare bambino. C’è un profumo nell’aria che ricorda quello delle figurine: quando aprivi il pacchetto, e l’aroma degli adesivi solleticava la speranza di trovare il centrocampista che ti mancava. È proprio l’aspettativa, d’altronde, ciò di cui vive un’etichetta. “È la ciliegina sulla torta, è l’elemento che attrae, che conquista, che racconta tutto quello che c’è dietro”, spiega Antonella Mignami, che insieme a Mauro Bettini conduce la Bettini Sa di Pregassona. Dove si stampano etichette di ogni tipo, da quelle per alimenti e bottiglie di vino a quelle di sicurezza, utilizzate da banche e ospedali. Circa 50 milioni di pezzi all’anno.
Normalmente guardiamo l’etichetta, ma pensiamo al prodotto (vediamo la luna e non il dito che ce la indica, a differenza del proverbiale cretino). Ma a volte vale la pena guardare anche il dito, scoprire di cosa è fatto e a cosa serve. Perché dietro ad ogni funzione di un’etichetta si nasconde un mondo molto più complesso e affascinante di quanto non si pensi.
Anzitutto, è chiaro, l’etichetta serve a veicolare informazioni: ci sarà glutine in queste polpette? È molto alcolica quella grappa? Ma anche in questo caso, non è così semplice. “Ci sono etichette che devono restare leggibili anche quando passano a 180 gradi sottozero, come quelle che identificano i campioni nei laboratori d’analisi” – ricorda Mauro, che ha avviato l’impresa nel 1998 – “o quelle che devono resistere anche al calore per un certo numero di minuti alla fiamma viva, per aiutare i pompieri a identificare il prodotto in caso di incendio”. Oppure, ancora, le etichette di tracciamento e antieffrazione, usate per sigillare informazioni e oggetti di valore e impedire furti.
Poi ci sono ciechi e ipovedenti: mi mostrano etichette che a prima vista sembrano normalissime, ma nascondono un rilievo braille “per distinguere il dentifricio dalla mayonese, per esempio”. Con una tecnologia chiamata Double Language System, per la quale Bettini Sa ha vinto uno Swiss Award del 2004.
Oltre alle informazioni c’è la questione dei materiali (vedi sotto) “una sfida che riguarda non solo la produzione dell’etichetta in sé, ma anche il supporto al quale devono potersi incollare”, fa notare Antonella. Sembra una sciocchezza, ma appiccicare qualcosa al sacchetto delle verdure di un supermarket è molto diverso dall’incollarlo a una bottiglia di vino (fatta di vetro, certo, ma coperta da una patina di silicone affinché non si graffi). Senza dimenticare gli alimentari, per i quali si devono utilizzare carte, collanti e colori che non inquinino il prodotto.
Infine, c’è l’aspetto artistico. Grafica e materiali devono veicolare un messaggio immediato, al contempo visivo e tattile. “Si tratta di sperimentare continuamente, per trovare l’interazione perfetta fra idea e materia.” – sottolinea Antonella – “Magari imparando dalla natura, che crea cose essenziali ma al tempo stesso artistiche”. Come un’incredibile etichetta stampata su pellicole sottilissime in legno di ciliegio, “ottenute dal tronco come si farebbe temperando una matita”. Per non parlare di rilievi, lacche, sagomature, giochi di trasparenza.
Il tutto ottenuto in una filiera che dal concetto grafico arriva fino al taglio finale, e passa per macchinari altamente specializzati, nella cui progettazione viene spesso coinvolto lo stesso Mauro; la stampa avviene in serigrafia o tramite uno speciale offset senz’acqua, che lavorando “a secco” contrasta la presenza di batteri sul prodotto finale. Ogni dettaglio conta, e i nostri occhi e le nostre mani lo registrano immediatamente. Anche quando non ce ne accorgiamo.
CORRELATO 1 / SETTE MATERIALI
- Per i prodotti alimentari dev’essere igienica e combinata con inchiostri e collanti a “migrazione” bassa o nulla, ovvero tale da non contaminare il cibo. Quella termica permette la stampa al momento, come nelle bilance e nei registratori di cassa.
- Seta sintetica. Permette di realizzare adesivi in tessuto, particolarmente eleganti e robusti.
- Per le etichette esposte a calore e a usura, come sui motori di veicoli e utensili.
- Materiali di sicurezza. Supporti che si spezzano in mille frammenti se qualcuno prova a staccarli (servono per esempio a sigillare documenti bancari), oppure che macchiano irrimediabilmente gli oggetti una volta rimossi, in modo da impedirne la ricettazione.
- Lo “spappolo”. Etichette che si dissolvono completamente in qualsiasi lavastoviglie. Utili per esempio nei cartellini identificativi apposti ai piatti negli ospedali.
- Fornisce un’esperienza visiva e tattile speciale per prodotti enogastronomici di lusso.
- Sintetico stacca/attacca. Permette di riutilizzare i contenitori più volte senza rovinare l’etichetta. Utile per i barattoli da mettere a bagnomaria.
CORRELATO 2 / IL FUTURO
Con lo sviluppo delle nanotecnologie e dei microchip, le etichette di domani promettono di assolvere a funzioni sempre più ampie: agevolare la tracciabilità e i processi logistici, interagire coi più comuni dispositivi elettronici e garantire la qualità del prodotto. Speciali inchiostri, ad esempio, sono già in grado di cambiare colore al variare della temperatura, permettendo così di controllare che la catena del freddo sia stata rispettata.
Inoltre, grazie al grafene, presto si potrebbero ricavare etichette direttamente sulla superficie del prodotto: intervenendo sul carbonio già presente tramite un laser, è possibile trasformare in grafene parti di un alimento, “scrivendoci” sopra. Il grafene stesso può poi funzionare come sistema di identificazione a radiofrequenza (RFID), per trasmettere informazioni importanti a gerenti e utenti. Il grafene può anche rivelare la presenza di batteri e lo stato di conservazione del prodotto. Si prestano al trattamento tutti gli alimenti ricchi di lignina, un precursore del carbonio presente in pane tostato, patate, noci di cocco.